COVID-19 e BPCO: per i pazienti due ‘mostri’ che attaccano i polmoni come in un ‘incubo’, ma la malattia li ha aiutati a proteggersi dal virus

Dal progetto di medicina narrativa “Narrarsi ai tempi del Covid-19” le voci di pazienti, medici e caregiver in un anno di pandemia tra paura, resilienza e connessioni digitali
 
 
Un “assassino” e un “mostro insidioso che mangia i polmoni”: è così che i pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) – malattia polmonare che rende difficile la respirazione di cui soffrono 3 milioni di italiani e terza causa di morte al mondo1 – hanno descritto il Covid-19 e la situazione di pericolo vissuta in questi mesi, legata al timore di contrarre un virus che ha come bersaglio proprio i polmoni. A rivelarlo è la ricerca di Medicina narrativa “Narrarsi ai tempi del Covid-19”, realizzata da Fondazione Istud in collaborazione con Chiesi Italia, la filiale italiana del Gruppo Chiesi, per comprendere i vissuti delle persone affette da BPCO, dei familiari e dei professionisti sanitari (pneumologi e medici di medicina generale) in tempi di pandemia, e approfondire l’impatto del Covid-19 sulla quotidianità e sull’organizzazione del percorso di cura.
 
 
La Ricerca ha visto la partecipazione di professionisti afferenti alle società scientifiche impegnate nel campo della pneumologia (AIPO, SIP) e della medicina generale (SIMG, FIMMG), ed è stata sostenuta dalle Associazioni di persone con malattie respiratorie croniche (Associazione Italiana Pazienti BPCO Onlus, FederAsma e Allergie ODV).
 
 
Dalle 146 narrazioni raccolte tra luglio e dicembre 2020, affiora il racconto di una dimensione dell’orrore, ben più grave delle metafore belliche utilizzate dai media. Per il 60% dei pazienti e il 100% dei caregiver, la paura è l’emozione in assoluto più citata, per le possibili ripercussioni del Covid-19 sulla capacità respiratoria, già provata dalla malattia cronica di base. Terrore e apprensione sono state le emozioni più frequenti anche per il 45% dei professionisti sanitari durante il primo lockdown, soprattutto per il timore di contagiare i propri cari. La casa, infatti, non viene evocata come un luogo di protezione, ma come un “serbatoio di ansia”, un luogo freddo senza abbracci, dove si continua a disinfettare.
 
 
“La prevalenza del Covid-19 nelle persone con BPCO è stata inferiore a quanto ci si potesse aspettare per una patologia che colpisce il 6-8% della popolazione. Tuttavia, per il paziente con BPCO grave colpito dal Covid-19, l’infezione ha rappresentato un fattore prognostico sfavorevole – spiega Stefano Centanni, Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università di Milano. “Distanziamento e utilizzo della mascherina hanno protetto i pazienti dalle infezioni virali più comuni, inclusa l’influenza, riducendo le riacutizzazioni gravi di BPCO che comportano l’ospedalizzazione”.
 
 
“Chi soffre di BPCO sperimenta sulla propria pelle cosa significa rimanere senza respiro, ed è quindi naturale che abbia vissuto stati d’animo di paura e apprensione, insieme a un malessere psicologico generale causato dalla solitudine, dal non poter incontrare figli e nipoti, dall’impossibilità a svolgere anche le attività più banali come andare a fare la spesa – commenta Sandra Frateiacci, delegata ai rapporti istituzionali, FederAsma e Allergie Onlus. Accoglienza, rassicurazione e corretta informazione possono dare un supporto concreto per migliorare la vita di questi pazienti”.
 
 
Sul fronte della presa in carico, circa il 60% degli pneumologi e dei medici di medicina generale ha sperimentato la telemedicina, testimoniando la forte tensione nel cercare di non interrompere la relazione con il paziente nonostante la situazione emergenziale. Soltanto il 15% dei pazienti ha dichiarato di non essere stato in grado di accedere alle visite né in presenza, né da remoto.
 
 
“La pandemia ha accentuato alcune criticità che riguardano la presa in carico dei pazienti con malattie respiratorie croniche e acceso i riflettori sull’importanza delle cure primarie per semplificare il percorso di cura. La medicina territoriale necessita di essere potenziata per facilitare l’accesso alle terapie e promuovere un maggior utilizzo delle tecnologie digitali, anche per l’assistenza dei pazienti fragili a domicilio” – dichiara Salvatore D’Antonio, Presidente Associazione Italiana Pazienti BPCO Onlus.
 
 
“L’esperienza di scrittura condivisa ha dato la possibilità di confrontarsi con le proprie emozioni, di uscire dall’isolamento ed aprirsi a una nuova progettualità. 1 persona su 2 è riuscita a superare la crisi trovando un senso nel qui e ora, rendendolo produttivo, o proiettandosi nel futuro, ad esempio al momento dell’incontro con i propri cari. Anche il rapporto con i medici, favorito dalle tecnologie digitali, ha aiutato i pazienti a sentirsi più sereni nella quotidianità – spiega Maria Giulia Marini, Direttore dell’Innovazione Area Sanità e Salute ISTUD. La medicina narrativa può aiutare a costruire una memoria collettiva da cui ripartire, per non vanificare gli sforzi messi in atto da tutti gli attori in oltre un anno di pandemia”.
 
 
“Siamo entusiasti di aver contribuito alla realizzazione di questo progetto che si inserisce in un filone di Medicina narrativa che Chiesi Italia ha sposato da anni per comprendere più a fondo i vissuti dei pazienti con BPCO, le paure e le limitazioni che la malattia impone sulla vita delle persone e dei loro familiari, senza dubbio amplificati dal particolare momento storico che stiamo vivendo – dichiara Laura Franzini, Direttore Medico di Chiesi Italia. In linea con i valori di azienda certificata B Corp, il nostro impegno nella ricerca scientifica parte dall’ascolto costante dei bisogni delle persone e dei medici che li hanno in cura, per offrire soluzioni terapeutiche efficaci e stimolare l’adozione di modalità di assistenza ai pazienti innovative, al passo con la tecnologia e al tempo stesso profondamente umane”.

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