Il Parmigiano Reggiano: storia di una eccellenza italiana nel mondo

La storia: fare di necessità virtù

Simbolo incontrastato del “Made in Italy”, tutelato dal marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta), il formaggio più conosciuto nel mondo vanta una storia antichissima, nata, come spesso accade, dal “far di necessità virtù”: era necessario trasformare il latte in prodotti che si potessero conservare a lungo ma il formaggio degli antichi popoli della Mesopotamia, come quello dei Greci e degli antichi Romani, era adatto solo ad un consumo limitato nel tempo. La ricchezza dei pascoli emiliani e l’intelligenza dei monaci Benedettini, che applicavano alla lettera il motto “ora et labora!” (“prega e lavora!”) del loro Fondatore, risolse il problema di produrre un formaggio che si mantenesse il più a lungo possibile.

_cgf7365

dsc_0033-copiadsc_0425

 

Giunsero al risultato asciugando la pasta e aumentando le dimensioni delle forme, ottenendo così una stagionatura che consentisse al formaggio di conservarsi più a lungo, e anche di essere trasportato lontano dalla zona di produzione. Due furono i fattori fondamentali: lo sviluppo delle “grancie”, le aziende agricole dei monaci che utilizzavano le vacche per il lavoro nei campi, ottenendo da loro anche latte e carne [ndr, il concetto di specializzazione e di selezione genetica in zootecnia è relativamente recente, del XX secolo…], e la presenza, non lontana delle saline di Salsomaggiore, che rendeva possibile l’approvvigionamento di sale in tempi in cui il mare era lontanissimo. Le prime testimonianze storiche che citano questo formaggio risalgono al tredicesimo secolo: un atto notarile del 1254, a Genova, cita il Caseus Parmensis, che nel secolo successivo fu di fatto monopolio delle abbazie benedettine e cistercensi, che presero ad esportarlo in Romagna, Piemonte e Toscana, dai cui porti, in particolare da Pisa, il formaggio prodotto a Parma e a Reggio raggiunge tutta la Penisola e anche importanti centri marittimi del mare Mediterraneo. La fama di questo formaggio divenne ben presto notevole, visto che nel 1344 il Decamerone di Giovanni Boccaccio, quando descrive la “Contrada di Bengodi”, parla di montagne di “parmigiano grattugiato”, da spolverare su “maccheroni e raviuoli”, anticipando quanto avviene oggi sulle tavole di tutto il mondo. Nell’Emilia del quindicesimo secolo si ha ulteriore sviluppo economico con l’ascesa di alcune famiglie nobiliari il cui potere derivava dalla produzione agricola dei rispettivi feudi: feudatari e abbazie benedettine lavorarono quindi ad un forte incremento produttivo, al punto che nelle terre di Parma e di Reggio la produzione era ormai generalizzata a tutte le zone dove fosse possibile disporre di adeguati foraggi. La dimensione delle forme aumentò, fino a 18 kg l’una, e si incominciò a selezionare il prodotto anche in base alle stagioni di produzione: quello prodotto a maggio (il “maggengo”) era ritenuto il migliore e veniva servito e gustato in tutti i proverbiali banchetti del Rinascimento.lvr_3241

La produzione si estendeva fino a settembre (col “settembrino”), nei mesi in cui le vacche potevano disporre di abbondanti pascoli. A Parma cominciavano a circolare commercianti chiamati “lardaroli” che vendevano, oltre al formaggio, anche salumi ai mercanti di altre zone, soprattutto cremonesi e milanesi, che arrivavano nella città emiliana per procurarsi il formaggio migliore. Sotto la spinta della domanda di un mercato crescente, i Benedettini estesero l’iniziale zona di produzione e, nel sedicesimo secolo, il commercio del nobile formaggio si estese praticamente all’intera Europa: arrivando in Francia, in Germania e nelle Fiandre, citato dai cuochi più famosi. A quei tempi tutta l’Emilia era in forte crescita agricola e commerciale e il formaggio era il prodotto più esportato. Cominciava inoltre ad affiancarsi ad abbazie e feudatari, nella sua produzione, una nuova classe sociale, costituita dai commercianti-proprietari di vacche da latte, una classe di estrazione artigiana e borghese che sviluppò le cosiddette “vaccherie”, con annesso caseificio, per la trasformazione del latte del proprietario a cui si aggiungeva anche il latte proveniente dalle stalle dei mezzadri, che a turno aiutavano il casaro. Nasceva il caseificio “turnario”, destinato a divenire punto di riferimento produttivo ed economico. Ogni successo porta inevitabilmente all’imitazione, e così, per tutelare il prodotto, quella che oggi definiamo “Denominazione d’Origine” si ritrova in un documento redatto nell’agosto del 1612 dal Duca di Parrma, che delineava e limitava le terre da cui doveva provenire il formaggio per potersi chiamare “di Parma”. Nel diciottesimo secolo i Ducati di Parma e di Modena erano continuamente in stato di guerra, con continue requisizioni militari nelle campagne, che si riflettevano nella produzione del formaggio: il Ducato di Modena tentò di modernizzare le campagne, confiscando terreni dei monasteri per rivenderli alla borghesia emergente, ciò che contribuì a rendere l’offerta di mercato più competitiva. Nel Ducato di Parma, invece, le campagne rimasero più tranquille ma meno competitive economicamente, cosa che comportò un calo produttivo del “Parmigiano” mentre il “Reggiano” si manteneva a buoni livelli. Con l’arrivo di Napoleone e la conseguente perdita per Parma dei fertili territori al di là del fiume Enza, si accentuò la crisi del “Parmigiano” (che solo in tempi recenti, con la creazione del Consorzio del Parmigiano Reggiano, vede la risoluzione di antiche dispute). Passarono comunque i secoli e senza i mezzi di comunicazione a cui siamo abituati la fama del “Parmigiano” divenne tale che anche R. L. Stevenson, nel 1883, nel famoso romanzo “L’isola del tesoro”, faceva dire al dottor Livesey rivolto al protagonista, Jim: “Hai visto la mia tabacchiera? ma non mi hai mai visto fumare tabacco: il motivo è che ci tengo dentro un pezzo di formaggio parmigiano, un formaggio fatto in Italia, molto nutriente”.

I giorni nostri: nasce il “Consorzio”
lvr_8321Il Parmigiano Reggiano in quasi mille anni di storia non ha cambiato le modalità produttive e oggi come nel Medioevo la produzione avviene solo ed esclusivamente in modo naturale, senza additivi di sorta, a differenza di tutti gli altri formaggi stagionati che nei secoli hanno cercato di imitarlo. Nei primi anni del secolo scorso arrivano però importanti innovazioni: l’uso del siero innesto e del riscaldamento a vapore, che contribuiscono a migliorare la qualità e le caratteristiche organolettiche del prodotto, cambiando parzialmente anche l’assetto dei caseifici. Un altro fatto importante è l’avvento di nuove forme societarie, le “Cooperative” di produttori. Restava incombente la necessità di tutelare il prodotto, differenziandolo da tanti formaggi similari, confusi con il Parmigiano ed il Reggiano (spesso anche in modo fraudolento): nasce così nel 1928, a Reggio Emilia, il “Consorzio volontario del Grana Reggiano”, mentre a Parma le forme cominciano ad essere marchiate con marchio proprio (la sigla F.P. con sopra la corona ducale). Sono anni frenetici e finalmente i caseifici di Parma, Reggio, Modena, Mantova (destra Po) trovano accordo sulla necessità di approvare un comune marchio di origine per il loro prodotto: così il 27 luglio 1934 sorge – primo fra tutti i formaggi italiani – il “Consorzio Volontario Interprovinciale Grana Tipico” che adotta il tipico marchio ovale per le forme giudicate idonee, riportante annata e scritta “C.G.T. Parmigiano Reggiano”. Nel 1937 la zona di produzione viene definitivamente delineata con quelli che sono i confini attuali, comprendendo anche i territori della provincia di Bologna (sinistra Reno). Si arriva così al 1938, con la prima ufficializzazione del termine “Parmigiano Reggiano”. La seconda guerra mondiale comporta un inevitabile e brusco rallentamento, tanto che nel 1945 la produzione era solo il 40% di quella dell’anteguerra, ma con la ripresa post-bellica nuove relazioni diplomatiche e commerciali conducono alla Conferenza di Stresa del 1951, sulla denominazione dei formaggi, che darà nuovo impulso alla produzione del Parmigiano Reggiano. Nel 1954 viene emanata la legge nazionale sulle denominazioni d’origine e il consorzio originario si trasforma in quello che è l’attuale organismo di tutela, il “Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano”. Nel 1955 viene definito lo Standard di produzione alla base delle caratteristiche del prodotto e negli anni a seguire vengono delineate in modo preciso finalità e compiti del Consorzio (a cui aderiscono volontariamente i caseifici produttori): tutela del prodotto, sua promozione e costante miglioramento tecnico. Segue a breve il “Regolamento di alimentazione delle bovine”, con una decisione basilare, che permane tuttora: bandire l’uso dei foraggi insilati nella alimentazione delle bovine da latte e proibire gli additivi e i conservanti nella produzione del formaggio, pratica che invece è sempre più diffusa a nord del Po. Tale decisione fu il fondamento indiscutibile della distinzione, ancora attuale, che porta il Parmigiano Reggiano ad essere apprezzato in tutto il mondo per caratteristiche qualitative ed organolettiche e per la sua unicità. Con la nascita della Comunità Europea e della conseguente Politica Agricola Comune, su spinta di Italia, Francia e Spagna, si afferma poi il principio di riconoscimento e tutela dei prodotti d’origine, finalmente non su scala nazionale ma comunitaria: anche oggi, come durante la Conferenza di Stresa, del 1951, il Consorzio del Parmigiano Reggiano gioca un ruolo fondamentale rappresentando i produttori di uno dei prodotti tipici più diffusi, apprezzati ed imitati a livello mondiale.

La denominazione d’origine protetta (DOP)
Nel 1992 viene approvato il Regolamento CEE 2081/1992 sulle Denominazioni d’Origine Protette, successivamente integrato dal Regolamento (CEE) 510/2006): nel 1996, al Parmigiano Reggiano viene riconosciuta DOP europea: passaggi fondamentali che consentono un nuovo impianto normativo comunitario, grazie al quale si ottengono nel nuovo millennio importanti successi a livello giuridico per la tutela del Parmigiano Reggiano, che, essendo il formaggio più conosciuto al mondo, è anche il più contraffatto ed imitato. Il più importante di questi successi è la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26 febbraio 2008, che ha sancito che “termini evocativi della DOP Parmigiano Reggiano” come il famigerato “parmesan”, devono essere riservati solo al formaggio prodotto secondo il Disciplinare di produzione. Ogni sentenza fa giurisprudenza e questa decisione spiana la via alla tutela dei più importanti prodotti di origine di tutta Europa, a vantaggio soprattutto dei consumatori, oltre che dei produttori. Il Parmigiano Reggiano DOP conta attualmente 340 caseifici di piccole e medie dimensioni che trasformano il latte proveniente da oltre 3200 aziende agricole nel più noto ed ineguagliabile “Made in Italy” alimentare nel mondo.

Lavorazione del Parmigiano Reggiano
lvr_9340Ogni giorno, il latte della mungitura serale viene lasciato riposare sino al mattino in ampie vasche, nelle quali affiora spontaneamente la parte grassa, destinata alla produzione di burro. Insieme al latte intero della mungitura del mattino, appena giunto dagli allevamenti il latte scremato della sera viene poi versato nelle tipiche caldaie di rame a forma di campana rovesciata, con l’aggiunta di caglio di vitello e del siero innesto ottenuti dalla lavorazione del giorno precedente, ricco di fermenti lattici naturali. Il latte coagula in una decina di minuti. La cagliata che si presenta viene frammentata in granuli grazie ad un antico attrezzo detto spino.
E’ a questo punto che entra in scena il fuoco, per una cottura che raggiunge lentamente i 55 gradi centigradi, al termine della quale i granuli caseosi precipitano sul fondo della caldaia formando un’unica massa. Dopo circa cinquanta minuti, la massa caseosa viene estratta, con sapienti movimenti, dal casaro. Tagliato in due parti e avvolto nella tipica tela di lino, il formaggio viene immesso in una fascera che gli darà la sua forma definitiva. Con l’applicazione di una placca di caseina, ogni forma viene contrassegnata con un numero unico e progressivo che l’accompagnerà proprio come una carta d’identità. Dopo poche ore, una speciale fascia marchiante incide sulla forma il mese e l’anno di produzione, il numero di matricola che contraddistingue il caseificio e l’inconfondibile scritta a puntini su tutta la circonferenza delle forme, che a distanza di pochi giorni vengono immerse in una soluzione satura di acqua e sale.
E’ una salatura per assorbimento che in poco meno di un mese conclude il ciclo di produzione e apre quello non meno affascinante della stagionatura.

Stagionatura ed Espertizzazione
La stagionatura è fondamentale per far acquisire al Parmigiano Reggiano i suoi aromi e la sua struttura. Per Regolamento, si può chiamare Parmigiano Reggiano solo il formaggio che compie 12 mesi, ma se lo si lascia maturare un altro anno cambiano completamente le sue caratteristiche sensoriali. I casari e gli esperti battitori dicono che il formaggio deve passare due estati, deve cioè subire per due anni le trasformazioni enzimatiche che cambiano la pasta del Parmigiano Reggiano e che in estate, grazie alla temperatura, sono più intense. Queste trasformazioni, ad opera degli enzimi liberati dai batteri lattici, consistono soprattutto in processi di scomposizione della catena delle proteine del formaggio (le caseine), che vengono frazionate in tanti piccoli pezzi di catena proteica, fino alla liberazione parziale e via via crescente nel tempo dei mattoni fondamentali, gli aminoacidi. Ecco perché il Parmigiano Reggiano è più digeribile di altri formaggi.
Simili modificazioni subiscono i grassi, che diventano anch’essi più facilmente assorbibili dall’organismo. La presenza di tanta varietà molecolare determina la ricchezza degli aromi e dei profumi che rendono unico ed inimitabile il Parmigiano Reggiano, formaggio che raggiunge questa complessità in modo del tutto naturale, senza l’aggiunta di alcun additivo che possa correggere o alterare la materia prima: il latte. Subendo i processi di maturazione biologica, il Parmigiano Reggiano ha un suo picco di fragranza e di tipicità sensoriale che si colloca dai 24 ai 36 mesi. Oltre questo termine, i processi di scomposizione proteica portano a far diventare la struttura quasi gessosa e molto solubile, i profumi tendono a ridursi e la maturazione dei grassi può portare il formaggio a diventare quasi piccante. I granellini che si sentono sotto i denti quando si mangia un pezzo di Parmigiano Reggiano stagionato sono dei cristalli di un aminoacido, la tirosina, che quando si trova in forma libera e concentrata ha la caratteristica, per propria conformazione molecolare, di cristallizzare. Questo aminoacido, insieme agli altri, viene liberato dai processi di scomposizione delle proteine ad opera degli enzimi. La presenza di cristalli di tirosina, quindi, è certamente un indice empirico – che può cioè essere verificato dall’esperienza di ciascuno – di buona stagionatura del Parmigiano Reggiano. Nel Parmigiano Reggiano naturalità significa utilizzare un latte che ha in sé un equilibrio microbiologico. Significa che i batteri lattici, naturalmente presenti, costituiscono la base microbiologica, tipica del territorio d’origine, il cui sviluppo e la cui attività devono essere favoriti nella trasformazione casearia.

Marchiatura
dsc_0453Gli esperti del Consorzio di tutela esaminano le forme una ad una.
Dopo la verifica dell’organismo di controllo, viene applicato il bollo a fuoco sulle forme che hanno i requisiti della Denominazione d’Origine Protetta. Alle forme che non presentano i requisiti per la dop vengono asportati tutti i contrassegni e la scritta a puntini. Per i maestri casari è uno dei momenti più delicati e per i consumatori è la fase più importante: è il momento della selezione e della certificazione di una garanzia assoluta sul prodotto. Sul formaggio di seconda scelta che viene avviato al consumo come fresco (un termine che può suonare curioso per un prodotto che ha già un anno di maturazione) vengono incisi solchi paralleli che lo rendono immediatamente riconoscibile dai consumatori. Questo è il Parmigiano Reggiano di seconda categoria detto “Mezzano”. Dopo 18 mesi, su richiesta, le forme possono essere di nuovo esaminate per l’apposizione del marchio “Extra” o “Export”. Ma è soprattutto l’indicazione dell’età di stagionatura, possibile anche con un sistema di bollini colorati, che aiuterà il consumatore a individuare il grado di maturazione del prodotto preconfezionato disponibile nei punti di vendita:
1. Un bollino color aragosta caratterizza il Parmigiano Reggiano con oltre 18 mesi di stagionatura. E’ un prodotto che presenta una base lattica piuttosto accentuata, con note vegetali quali erba, fiori e frutta che lo rendono ideale per spuntini e aperitivi.
2. Un bollino argento individua il formaggio con una stagionatura di oltre 22 mesi, con aromi che si vanno decisamente accentuando. Tra questi si possono apprezzare note di frutta fresca e agrumi, accanto ai quali fanno la loro comparsa cenni di frutta secca.
3. Un bollino oro, infine, rende riconoscibile il prodotto con oltre 30 mesi di stagionatura, il più deciso nel sapore e complesso negli aromi, con elementi nutritivi che sono andati concentrandosi proprio nella lunga maturazione.
Analisi sensoriale
L’analisi sensoriale è l’insieme di metodi e tecniche che consentono di misurare, attraverso gli organi di senso, la qualità di un prodotto alimentare o di una bevanda. L’analisi dell’aspetto, del sapore e della consistenza sono indispensabili per capire le peculiarità del Parmigiano Reggiano e per assaporarlo fino in fondo. La degustazione del Parmigiano Reggiano può portare a scoprire nuovi abbinamenti di sapori e può essere fatta da chiunque desideri conoscere i segreti del Re dei Formaggi. Per apprendere la tecnica di assaggio è necessario utilizzare i sensi come strumento di valutazione: vista, udito, olfatto, gusto e tatto e, per individuare tutte le sfaccettature della complessità sensoriale del Parmigiano Reggiano, è necessario farne un adeguato addestramento. Ancora prima di assaggiare il Parmigiano Reggiano, la vista provoca stimoli sensoriali.

La vista
L’aspetto esteriore è importante e garanzia di una buona conservazione del prodotto.
Forma, dimensioni, aspetto e colore sono stimoli visivi importantissimi.

L’udito
Nella degustazione, gli stimoli sonori fanno apprezzare la friabilità della pasta.

L’olfatto
Fra i sensi è il più sottile: indispensabile per captare tutti gli odori (dal naso) e gli aromi (dalla cavità retronasale) del Parmigiano Reggiano anche durante la masticazione.
Il gusto
La lingua, la bocca e la gola sono i nostri strumenti per assaporare il Parmigiano Reggiano. La lingua è un sensore importantissimo sia per le percezioni tattili, sia per quelle chimiche (sapori). I gusti fondamentali sono quattro: dolce, salato, acido e amaro che si manifestano in successione temporale.

Il tatto
Solo toccando e masticando il Parmigiano Reggiano si possono comprenderne la struttura e la consistenza. In questo modo si possono valutare le caratteristiche di compattezza, durezza, elasticità, granulosità, friabilità e di temperatura che possono influenzare il gradimento del formaggio. Per assaggiare al meglio il Parmigiano Reggiano occorre seguire questi semplici passaggi:
• osservare la scaglia o il campione di Parmigiano Reggiano
• prenderlo fra le mani e tastarlo
• spezzarlo e annusarlo valutandone gli odori
• mordere il pezzetto e deformarlo con i denti
• masticarlo, facendolo ruotare in tutto il cavo orale
• espirare l’aria dal naso e valutare aroma e persistenza globale
• valutare l’intensità dei sapori fondamentali
• distinguere le caratteristiche della struttura del formaggio percepite in bocca
• deglutire il campione e valutare l’eventuale comparsa di retrogusti

Le caratteristiche nutrizionali
Il Parmigiano Reggiano, da un punto di vista merceologico è un formaggio a pasta dura e a lunga stagionatura. Contiene solo il 30% di acqua e ben il 70% di sostanze nutritive essenziali (proteine, lipidi, vitamine e minerali). Altamente digeribile e raccomandabile in tutte le età della vita, il Parmigiano Reggiano interessa da sempre le più svariate Discipline mediche per le peculiarità che ne consentono e raccomandano un uso trasversale: dall’età pediatrica a quella geriatrica, in gravidanza ed allattamento, e quale supporto nutrizionale in molte situazioni patologiche e nelle prestazioni dello sportivo. Pianeta Salute darà ampio spazio nei prossimi numeri alle virtù salutistiche di questo inimitabile prodotto, grazie al contributo di esperti e di grandi Medici che lo hanno studiato. ⬥
Tabella
Caratteristiche nutrizionali

100 grammi di Parmigiano Reggiano
stagionato contengono:
Umidità g 31,4
Proteine g 32,4
Amminoacidi liberi su proteina totale1 % 23,3
Energia2 kcal 402
kJ 1671
Grassi g 29,7
Acidi grassi saturi g 19,6
Acidi grassi monoinsaturi g 9,3
Acidi grassi polinsaturi g 0,8
Grassi sulla sostanza secca % s.s. 43,3
Carboidrati g 0
di cui zuccheri g 0
Lattosio mg <1
Fibre g 0
Sale3 g 1,6
Acido lattico g 1,6
Calcio mg 1155
Fosforo mg 691
Sodio mg 650
Potassio mg 100
Magnesio mg 43
Ferro mg 0,2
Zinco mg 4
Colesterolo mg 83
Vitamina A µg 430
Tiammina (Vit. B1) mg 0,03
Riboflavina (Vit. B2) mg 0,35
Vitamina B6 mg 0,060
Vitamina B12 µg 1,7
Vitamina C mg 0
Niacina (Vit. PP/B3) mg 0,06
Vitamina E mg 0,55
Vitamina K µg 1,6
Acido pantotenico (Vit. B5) mg 0,320
Colina mg 40
Biotina µg 23

1) La percentuale di amminoacidi liberi è riferita al Parmigiano Reggiano 24 mesi.
2) Valore energetico calcolato mediante i coefficienti di conversione elencati nell’All. XIV, Reg. UE 1169/2011.
3) Sale: contenuto equivalente di sale calcolato mediante la formula Sale = Sodio x 2,5 come definito dal Reg. UE 1169/2011, All. 1.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *