CAST- POLICLINICO DI CATANIA. UN MODELLO ORGANIZZATIVO VIRTUOSO PER LA PATOLOGIA AORTICA COMPLESSA

L’intervista al prof. Pierfrancesco Veroux, delegato alla “Sanità e Innovazione” del Rettore di Catania, direttore della UOC di Chirurgia Vascolare e Centro Trapianti del Policlinico di Catania e della Scuola di Specializzazione di Chirurgia Vascolare dell’Ateneo catanese.

di Maria Grazia Elfio

La standardizzazione di procedure mininvasive in chirurgia vascolare, dedicate al trattamento delle patologie complesse dell’aorta toracica e addominale, oggi rappresenta una svolta importante per ridurre mortalità e morbilità dei pazienti. La possibilità di effettuare procedure percutanee altamente sofisticate, efficaci e sicure, è il punto di arrivo di un più complesso modello organizzativo, a forte vocazione multidisciplinare in grado di superare una visione parcellizzata del management ospedaliero cardio-vascolare e di recepire i progressi dell’High Definition (tecnologia all’avanguardia). In tale direzione, la Sicilia vanta un fiore all’occhiello: il CAST (Centro Alte Specialità e Trapianti), ospitato al padiglione 8 del Policlinico di Catania, che rappresenta l’emblema di come il trait d’union tra la chirurgia vascolare, la cardiochirurgia e la cardiologia con emodinamica, riunite in un unico dipartimento, siano in grado di coniugare altissimi standard di assistenza e appropriatezza, declinandole al risultato ultimo della maggior sicurezza del paziente. Nell’ambito di un sistema virtuoso come questo, la chirurgia vascolare può smarcarsi dalle procedure tradizionali e trattare, sia in urgenza che in elezione, le patologie più complesse con metodologie endovascolari, al contempo, contenitive dell’aggressione chirurgica (tipica delle metodiche a “cielo aperto”) e sicure in quanto collocate in vere e proprie sale operatorie, superando il gap di sterilità di ambienti non altamente performanti sotto tale profilo, tipici nella storiografia chirurgica del contesto mininvasivo della prima ora (ad es. sale radiologiche e/o angiografiche). Innovazione, sterilità e perfezionamento delle multi-competenze sono, quindi, le parole chiave per concorrere a valenti indici di outcome (esiti clinici), ottimizzare risorse umane e strumentali e favorire la sostenibilità del sistema nel suo complesso.

Prof. Veroux un modello virtuoso qual è il CAST com’è organizzato?

“Si tratta di un dipartimento unico a cui afferiscono la Chirurgia Vascolare diretta da me, la Cardiologia (con Emodinamica) diretta dal prof. Tamburino e la Cardiochirurgia del prof. Giuffrida. Il valore aggiunto di questa modello organizzativo sta nel fatto che, riunendo in un unico contenitore e plesso strutturale tutte le specialità pertinenti all’ambito cardiovascolare, ciascuno di noi tratta il paziente per la parte di propria pertinenza, senza doverlo trasmigrare da un’area all’altra dell’ospedale (con l’effetto più grave di farlo oscillare da habitat sterili ad aree non sterili), o senza dover ricorre a presidi extraospedalieri, come accade, purtroppo, in altre realtà aziendali, dove una o più di queste discipline non insistono nello stesso luogo. Tale organizzazione in particolare, permettendo di compattare tempestivamente tre equipe multidisciplinari nello stesso contesto di sala operatoria, durante un trattamento che sia di nostra pertinenza, o di pertinenza del collega cardiologo o cardiochirurgo, risulta molto importante, laddove nel corso della procedura interventistica siano necessarie integrazioni di competenze per minimizzare le possibili complicanze, che oggi rappresentano la principale motivazione per cui possiamo perdere il paziente.

Tale sistema organizzativo però è rilevante anche per il contenimento dei profili di rischio clinico infettivologico…

Certo. La possibilità di effettuare le tecniche percutanee in ambiente ad altissima sterilità, ovvero in vere e proprie sale operatorie, invece che nelle tradizionali sale angiografiche e/o radiologiche (alle quali era confinata in fase di rodaggio delle procedure endovascolari, la possibilità di esercitare le metodiche mininvasive) ha consentito di superare tutta una serie di profili non altamente performanti che esponevano il paziente a percorsi non sempre lineari e corretti, sotto il profilo degli standard di rischio clinico, incluso un aumentato rischio di infezioni, perché naturalmente una cosa è operare in un campo sterile come la sala operatoria, altra nelle normali sale radiologiche non dotate un tempo degli stessi standard di sterilità. Inoltre, ottimizzando i tempi dei percorsi e perfezionando ogni segmento inerente le professionalità chiamate ad interagire su uno stesso paziente si migliora l’outcome finale delle procedure.

In altre parole, lo sviluppo di tecniche mininvasive efficaci, nell’ambito di un modello ospedaliero assistenziale declinato al trattamento delle patologie complesse, è la sintesi di una sorta di catena di montaggio…

In chirurgia vascolare, anche nel trattamento di patologie complesse dell’aorta, abbiamo potuto sviluppare tecniche mininvasive altamente performanti con numeri di rilievo su questo versante (al 2019 all’attivo circa 170 interventi relativi a dissezione ed aneurismi dell’arco aortico e dell’aorta toraco-addominale eseguite con sola procedura percutanea in anestesia locale sul complessivo di 1200 operazioni), perché a monte abbiamo abbracciato un approccio culturale tale da sostenere un modello innovativo e politico- manageriale in grado di predisporre strutturalmente tutta l’organizzazione in questa direzione. Ogni tassello relativo a ogni professionalità che interagisce in questo percorso, di cui la procedura percutanea è il risultato finale, è stato forgiato su altissimi standard, che tutti complessivamente elevano la sicurezza del paziente. In Sicilia il CAST è in tale direzione una realtà di eccellenza unica.

La sicurezza oggi confida anche sul supporto dell’innovazione tecnologica, grazie alla quale si è passati dalle sale operatorie alle sale operatorie ibride. Cosa sono?

La sala operatoria ibrida è a tutti gli effetti una sala operatoria che, però, ha perfezionato ulteriormente la performance assistenziale, perché ha permesso un monitoraggio del paziente a più alta definizione, altissima sterilità e la presenza di angiografi di ultima generazione coniugando la performance chirurgica con la più progredita tecnologica. Noi abbiamo due sale operatorie ibride, dal maggio 2018, appositamente progettate ed equipaggiate per il trattamento multidisciplinare di pazienti con patologia aneurismatica complessa dell’aorta.

Le tecniche mininvasive impattano positivamente a cascata su tutto il sistema ospedaliero, perché?

Nel contesto organizzativo strutturale che abbiamo descritto, caratterizzato da altissimi livelli di monitoraggio e sterilità (che sostanzialmente poggiano su diversi elementi: monitoraggio dei parametri vitali, anestesia locale, approccio percutaneo che non prevede quindi incisioni chirurgiche, rapid pacing ed infine utilizzo di dispositivi di grande qualità) operiamo sul paziente sveglio grazie ad una sedazione cosciente, che agisce spegnendo la percezione del dolore. Questo primo elemento ci permette, rispetto alla chirurgia maggiore, di poter evitare la degenza post-operatoria nei reparti di terapia intensiva. Non è un problema secondario di risk management a fronte dei numeri epidemiologi da capogiro. L’approccio percutaneo evita la grande incisione chirurgica e, per gli accessi femorali, riducendo il volume della ferita, che pertanto guarisce prima, è più tollerabile, sia sotto il profilo del dolore post-operatorio che psicologico, aumentando il comfort del paziente e sdoganando, così, l’esigenza di protrarre tempi di ricovero con relativo aumento di costi del sistema.

Le procedure percutanee in sostituzione della chirurgia vascolare cd. “a cielo aperto” (che nell’ipotesi di tradizionale aneurisma /dissezione aortica avrebbe previsto un’incisione maggiore da sotto la scapola all’ombelico ) vengono riservate a quali dissezioni dell’aorta?

Va premesso che le dissezioni aortiche sono classificate in base all’anatomia. Il sistema di classificazione di DeBakey è quello più utilizzato. Tipo I (50% delle dissezioni): dissezioni che originano dall’aorta ascendente e si estendono fino all’arco aortico e talvolta oltre. Tipo II (35%): dissezioni che iniziano e sono confinate a livello dell’aorta ascendente (prossimale all’arteria brachiocefalica o innominata). Tipo III (15%): dissezioni che originano dall’aorta toracica discendente appena oltre l’origine dell’arteria succlavia sinistra e si estendono distalmente o, più raramente, prossimalmente. Le dissezioni di tipo IIIa hanno origine distale rispetto all’arteria succlavia sinistra e sono confinate all’aorta toracica. Le dissezioni di tipo IIIb hanno origine distale rispetto all’arteria succlavia sinistra e si estendono al di sotto del diaframma. L’obiettivo dell’intervento chirurgico è di chiudere l’ingresso del falso lume e ricostruire l’aorta con una protesi sintetica. Riserviamo la procedura percutanea alle dissezioni dell’aorta discendente (tipo B), dell’arco aortico e dell’aorta ascendente (nb. con selezione dei casi).

Lo sviluppo di tecniche mininvasive per il trattamento anche di una patologia complessa come quella aortica oggi sono sostenute da più moderni device (dispositivi impiantabili)…

Si. L’endoprotesi (stent coperti) più moderne che hanno un calibro più piccolo, sono più flessibili e si adattano meglio alle arterie delle donne, che sono più piccole. Esse vengono inserite per ricostruire l’arteria malata, creando un ponte tra le parti sane e isolando la parte lesionata. Un punto molto importante quanto centrale per l’efficacia delle procedure terapeutiche endovascolari è il posizionamento preciso dei dispositivi impiantabili, ovvero delle endoprotesi. Il rilascio di esse nel punto esatto, però, può essere ostacolato dal movimento cardiaco o dagli effetti del flusso intravascolare. Per cui ricorriamo a metodiche che, con l’ausilio dei cardiologi soprattutto, possono ovviare anche a questo problema, esaltando ancora una volta il valore della multidisciplinarietà e l’importanza di poter contare sull’interazione simultanea nello stesso contesto operatorio e sullo stesso paziente di diverse professionalità.

Vi avvalete proprio per evitare “lo scivolamento della protesi rispetto al punto di esatta immissione” anche del cd. “Rapid pacing ”, ovvero?

Consiste nella stimolazione rapida del burst ventricolare. La stimolazione a raffica induce frequenze cardiache di circa 140-180 battiti al minuto. Questo è possibile se il valore pressorio arterioso è mantenuto per pochi secondi intorno a una sistolica di 60/50. Chiaramente sono valori possibili da sopportare solo se c’è un buon rodaggio di tutti coloro che sono impegnati su quel paziente, anestesisti compresi.

Ecco che ancora una volta rileva il valore della multidisciplinarietà tra discipline interagenti…

Sì e diventa una costante senza la quale non sarebbe possibile puntare a nuove frontiere della chirurgia vascolare utilizzando tecniche mininvasive, rispetto alle quali la sicurezza è il nostro obiettivo finale, ma anche un concetto complesso: la somma di più fattori intermedi, che coniugano assistenza multidisciplinare, innovazione tecnologica, alta sterilità e appropriatezza dei percorsi, che tutti insieme realizzano alta qualità di performance chirurgiche, maggior contenimento dei rischi clinici e, quindi, dei costi complessivi ospedalieri, nell’alveo di una logistica strutturale e organizzativa unitaria che di quella sicurezza è premessa a valle.

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