Giornata delle donne e delle ragazze nelle scienze
L’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano ha scelto di celebrare la Giornata raccontando
3 storie di professioniste che attraverso il loro lavoro ogni giorno testimoniano che
la dedizione delle donne alla scienza è più forte di qualunque ostacolo
Milano, 10 febbraio 2021 – Contratti precari, difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia per
mancanza di politiche sociali specifiche, retaggi culturali: sono i muri che ogni giorno le ricercatrici
italiane sono costrette a superare. La pandemia, poi, ha reso questi ostacoli, in certi casi,
invalicabili, costringendo le scienziate a ritardare le pubblicazioni o ad abbandonare gli studi.
Eppure, proprio nello studio del Covid-19 le donne hanno giocato un ruolo importante, prima
nell’isolare il virus, poi nell’analisi delle cure per i contagiati e infine nella scoperta del vaccino.
Ecco perché quest’anno è ancora più importante celebrare l’11 febbraio la Giornata
internazionale delle donne e delle ragazze nelle scienze, istituita dall’ONU allo scopo di ispirare le
ricercatrici di domani ed evidenziare la necessità di raggiungere la parità di genere nella ricerca.
L’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano ha scelto di festeggiare raccontando 3 storie di professioniste
che attraverso il loro lavoro ogni giorno testimoniano che il raggiungimento dell’uguaglianza di
genere è un fattore imprescindibile per il progresso della ricerca medica.
Essere ricercatrice e mamma: in Italia è ancora una sfida
Se, come si evince dal recente dossier pubblicato dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN),
organo consultivo e propositivo del Ministero dell’Istruzione, il numero di donne e uomini che
scelgono di laurearsi in Scienze Mediche in Italia è lo stesso, il divario si evidenzia nel proseguo
della carriera. La prima difficoltà per le ricercatrici è rappresentata dalla conciliazioni tra i tempi di
vita e di lavoro, come racconta la dott.ssa Cecilia Beatrice Chighizola, Reumatologa e ricercatrice
dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano: “Non ho subito discriminazioni di genere né durante gli
studi né a livello professionale, ma ho avvertito le prime difficoltà imputabili all’essere donna
dopo essere diventata mamma di Carlotta. Quando la mia disponibilità di tempo ed energie si è
ridimensionata, per ovvie ragioni, non sempre ho trovato comprensione delle difficoltà di conciliare
esigenze famigliari e necessità lavorative, anche da parte di altre donne. Ho superato questo
ostacolo con l’impegno, lo studio, la dedizione, la passione e una certa dose di spirito di sacrificio.
Alle giovani donne dico che è importante credere in se stesse, ma anche restare sempre umili,
consapevoli che in medicina non si finisce mai di imparare. Non credo che il settore della ricerca sia
particolarmente maschilista, ma certamente riflette la nostra società. Fare ricerca, infatti, è
impegnativo: bisogna investire tempo e dedicare tante risorse personali che inevitabilmente
hanno un impatto sull’organizzazione famigliare. Organizzazione che in Italia è a carico della
donna e credo che la nostra società non colga le limitazioni di questo approccio. Recentemente,
sono rimasta sorpresa dalla decisione di un professore svedese che ha scelto di prorogare sia per
me sia per un collega uomo, entrambi genitori da pochi anni, i tempi di consegna di un lavoro,
adducendo la stessa motivazione, ovvero che non è giusto mettere una pressione eccessiva a chi ha
figli piccoli e ha meno tempo da dedicare al lavoro. Questo vuol dire che il professore è convinto
che un neo papà e una neo mamma abbiano lo stesso carico di cura nella gestione dei figli e la
medesima necessità di tempo. Mi piacerebbe che anche in Italia fosse così, dentro e fuori dal
mondo della ricerca”.
Perché è importante valorizzare il ruolo delle donne nella scienze
A questo scopo è fondamentale promuovere un’educazione al sapere scientifico che sia
veramente accessibile a tutti senza distinzioni di genere, libera da stereotipi e pregiudizi, come
dice la dott.ssa Antonia Parafioriti, Direttore dell’Anatomia Patologica dell’ASST Gaetano Pini-
CTO di Milano e ricercatrice nell’ambito della diagnostica dei tumori muscoloscheletrici. “Nel mio
ruolo di manager – aggiunge la dott.ssa Parafioriti – sono sensibile all’eco che hanno le
problematiche di conciliazione famiglia-lavoro in entrambi i generi e nel quotidiano sono orientata
sempre al dialogo e all’incontro in una logica di condivisione e cooperazione invece che divisione e
competizione. È necessario sostenere ogni giorno un processo che valorizzi il contributo delle
donne in ambito scientifico e il loro ruolo nel campo della ricerca. Se guardiamo al passato non
mancano esempi di vite di donne sacrificate alla ricerca e questo percorso è strettamente legato
alle tappe dell’emancipazione femminile. Se è vero che il mondo della ricerca è ancora popolato in
prevalenza di uomini, come ci testimoniano le statistiche, è altrettanto vero che è un mondo in
continuo cambiamento ed evoluzione. Per questo alle ragazze che vogliono intraprendere la via
della ricerca consiglio di non demordere, di coltivare la costruttiva ambizione alla base di
progettualità e realizzazione, di credere in loro stesse, seguendo l’esempio delle donne della ricerca
che ci hanno precedute, come Marie Curie che scoprì l’uso del radio nella cura dei tumori, la quale
sosteneva che nella vita non c’è nulla da temere, solo da capire”.
Donne e ricerca: la precarietà è un ostacolo
Altro grande problema che interessa sia gli uomini sia le donne è il precariato: il nostro Paese
investe troppo poco nella stabilizzazione dei ricercatori. Eppure i dati del CUN evidenziano che
questo limite impatta maggiormente sulle carriere delle donne anziché degli uomini. Il numero
degli uomini, si legge nel dossier, è sempre maggiore di quello delle donne per i ruoli a tempo
indeterminato e a tempo determinato in profili senior (RTDb). In particolare, nella categoria
Professori Associati il numero degli uomini supera il doppio di quello delle donne, mentre nella
categoria Professore Ordinario il numero degli uomini è 5 volte più alto di quello delle donne. Il
racconto della dott.ssa Anna Zecchinelli, Direttore del Centro Parkinson e Parkinsonisimi
dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano, testimonia come questo divario è certamente un freno per
le donne che vogliono fare ricerca ma può fungere anche da sprono per le giovani ricercatrici: “Gli
ostacoli che ho trovato lungo il mio percorso sono stati enormi. Quando ho iniziato la specialità, i
neurologi assunti erano solo uomini. Nei laboratori la ricerca la svolgevano le donne ma i direttori
erano quasi sempre uomini. Oggi questo divario si è mitigato ma resta il problema della precarietà
che limita la possibilità di costruirsi una vita familiare che vada in parallelo con la vita lavorativa e
non in contrapposizione. Nonostante questo alle giovani ricercatrici dico di non mollare, bisogna
coltivare i propri sogni e la ricerca è importante e gratificante per chi la fa e fondamentale per la
comunità. Non bisogna avere paura di mostrare e far valere le proprie capacità, senza per questo
rinunciare alla propria vita”.
BIOGRAFIE
Dott.ssa Cecilia Beatrice Chighizola
Dopo essermi laureata in Medicina e Chirurgia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano nel
2006, ho proseguito il mio percorso di formazione presso l’Università degli Studi di Milano dove ho
conseguito nel 2011 la specialità in Reumatologia e nel 2015 il dottorato di ricerca in Patologia e
Neuropatologia Sperimentali. Nel 2016, ho ottenuto un Master Universitario di II livello in Ricerca
Traslazionale in Reumatologia presso l’Università degli Studi di Trieste. La mia attività di ricerca si è
focalizzata sulla caratterizzazione dei meccanismi patogenetici delle patologie autoimmuni
sistemiche, con particolare interesse per la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi e la sclerosi
sistemica. Mi sono dedicata sia a progetti di ricerca di base sia a progetti di ricerca clinica.
L’interesse per la ricerca è maturato progressivamente nel corso degli anni di formazione, grazie
alla mia propensione per le materie biologiche e dall’attitudine all’approfondimento. Mi
appassiona tutto l’iter della ricerca: partire dalla formulazione di un’ipotesi di lavoro, per poi
impostare il piano sperimentale, raccogliere in modo preciso ed omogeneo i dati ed analizzarli,
infine valutare i risultati criticamente per contribuire all’avanzamento delle conoscenze.
Condividere con la comunità scientifica le conclusioni raggiunte rappresenta per me una grande
soddisfazione! Un progetto a cui tengo molto concerne la caratterizzazione degli effetti
patogenetici di immunocomplessi isolati da pazienti con sclerosi sistemica. Mi ha appassionato
anche studiare, grazie a un sofisticato modello statistico, la potenziale rilevanza degli anticorpi
anti-fosfolipidi a basso titolo in relazione alle complicanze ostetriche. All’ASST Gaetano Pini-CTO
mi occupo di Reumatologia dell’età evolutiva. Oltre a vari studi clinici nella popolazione pediatrica,
mi sto ora dedicando all’analisi dell’outcome gestazionale in donne affette da artrite idiopatica
giovanile e ai giovani pazienti con lupus eritematoso sistemico esordito in età giovanile. Inoltre,
sono ricercatrice in Reumatologia presso l’Università degli Studi di Milano.
Dott.ssa Antonia Parafioriti
Dopo la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Milano nel 1988, ho
conseguito la specializzazione in Anatomia Patologica presso l’Università degli Studi di Brescia nel
1994. Oggi dirigo l’Unità Operativa Complessa di Anatomia Patologica dell’ASST Gaetano Pini-CTO
di Milano. Mi occupo della diagnostica dei tumori muscoloscheletrici, in particolare di casi
complessi di tumori dei tessuti molli e dell’osso nonché delle patologia sinoviale reumatologica.
Insegno alla Scuola di Specializzazione di Anatomia Patologica, Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università degli Studi di Milano Corso Integrato di “Tumori dell’apparato locomotore” e sono
tutor all’attività didattica del corso di Anatomia Patologica presso il Polo Didattico Policlinico della
Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano. Sono Consigliera Regionale
della Società Italiana di Anatomia Patologica (SIAPEC-IAP) e sono socia dell’Italian Sarcoma Group
e del Gruppo Italiano Patologia Pediatrica.
Dott.ssa Anna Zecchinelli
Mi sono laureata in medicina all’Università di Milano nel 1985 con una tesi sperimentale sulla
malattia di Parkinson. Successivamente mi sono iscritta alla Scuola di specialità in Neurologia e da
allora Parkinson e disturbi del movimento sono sempre stati il mio campo di interesse. Nel 1989
ho avuto l’opportunità di svolgere una postdoctoral fellowship presso il Movement Disorder
Research Center alla Columbia University di New York diretta dal Prof. Fahn, ai tempi il massimo
esponente della ricerca nel campo dei disordini del movimento, e questo ha cambiato la mia vita:
è stata un’esperienza elettrizzante che mi ha fortemente determinata, al rientro in Italia, a
proseguire nel campo della ricerca. Il progetto di ricerca che più mi ha appassionato e coinvolto è stato la possibilità di effettuare un trapianto di cellule dopaminergiche nelle persone affette da
malattia di Parkinson per ripristinare il sistema nigrostriatale danneggiato. Attualmente il Centro
Parkinson e Parkinsonismi dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano che dirigo sta portando avanti, in
collaborazione con ricercatori di altre Università e con il contributo della Fondazione Grigioni,
progetti di ricerca sui gemelli, sui markers precoci di malattia, sull’utilizzo della levodopa nella
malattia con un importante studio effettuato in Africa.