Accademia di Medicina di Torino: Alessandro Comandone nella seduta scientifica on line dedicata alle “Terapie ablative imaging guidate”
di Piergiacomo Oderda
Alessandro Comandone, past president dell’Accademia di Medicina di Torino
introduce Andrea Veltri, professore di radiologia, dipartimento oncologia
(Università di Torino) nella seduta scientifica on line dedicata alle “Terapie
ablative imaging guidate”. Con una prevalenza di popolazione anziana per cui
non si può proporre l’intervento chirurgico per la comorbilità, aumenta
l’applicazione delle terapie ablative. Tra i vantaggi, il prof. Comandone
enumera i minori costi e la minore invasività, la ripetibilità nel tempo e non
manca di rilevare la necessità di una «collaborazione interdisciplinare solida».
Tra i limiti, più volte sottolineati nel corso della serata, indica la mancanza di
studi randomizzati e un confronto tra le diverse tecniche ablative.
Andrea Veltri racconta «una storia che è la storia della propria vita». Risale agli
ultimi dieci anni del secolo scorso per vedere come in un “testa a testa” fra
Italia e Giappone ci fossero i primi tentativi di trattare localmente un tumore
che insisteva su pazienti con problematiche cliniche e d’organo (Tito Livraghi,
1992). Già alla fine degli anni Novanta si assiste ad un viraggio tra un
approccio di tipo chimico (alcolizzazione, “ethanol injection”) ed un approccio ti
tipo fisico (“Radio-Frequency”) al problema del tumore. Sono i “mitici” anni
Novanta quando si comincia a lavorare insieme al gruppo trapiantologico come
traspare da uno studio a cui partecipa anche il prof. Veltri (pubblicato su
Cardiovascular and Interventional Radiology, 1998); si applicavano trattamenti
di contenimento delle malattie neoplastiche prima del trapianto. La comunità di
radiologi interventisti oncologici ha compreso da subito la necessità di parlare il
medesimo linguaggio (“standardization of terminology”), «mai ho visto ripetuto
un approccio così sistematico al tentare di uniformare la propria lingua in
ambito radiologico» (Ahmed, JVIR, 2014). La relazione del prof. Veltri si
incentra sulla termoablazione con radiofrequenza (RFA), microonde (MWA) e
crioablazione (CRYO).
RFA Si tratta di onde elettromagnetiche, si pone il paziente dentro un circuito
di fatto elettrico, l’ago elettrodo è posto nel bersaglio e all’estremo ci sono
placche simili a quelle chirurgiche che chiudono il circuito con il generatore di
radiofrequenza. Veltri accenna ad alcuni “trucchi”: raffreddare la punta dell’ago
ed evitare la carbonizzazione, ottenere la necrosi per propagazione delle onde
elettromagnetiche più a distanza dalle antenne; inserire più aghi elettrodi nella
medesima cannula; rendere più idratato il tessuto nel corso dell’ablazione per
favorire un’ipertermia interstiziale (agitazione delle molecole d’acqua).
MWA Rappresenta un avanzamento, aumenta l’energia depositata. L’antenna
trasmette alle molecole d’acqua nel tessuto l’energia delle microonde.
L’inserimento dell’antenna porta energia per conduzione e per convezione, utile
a contrastare l’effetto di raffreddamento a cui porta la circolazione sanguigna.
CRYO Mira a congelare i tessuti, le criosonde si sono ridotte ad un diametro
piccolissimo.
Nei primi anni Duemila si è comparata l’alcolizzazione con la RFA, il prof. Veltri
mostra nella slide uno studio pubblicato su “Scandinavian Journal of
Gastroenterology”, 2008. Non nasconde lo scetticismo di allora, eppure con
altri quattro “trial” nel resto del mondo, si è “sdoganata” quella cura in ambito
oncologico. L’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF) sottolinea la
necessità della gestione integrata del paziente con epatocarcinoma (HCC,
“HepatoCellular Carcinoma”). Un timore è rappresentato dal lasciare una
componente periferica del tumore, «l’intento è di essere radicali sotto la guida
dell’imaging» (RM, TC, Ecografia). L’European Conference on Interventional
Oncology (ECIO, 2018) consiglia una MWA per un numero inferiore a tre HCC,
di cui uno maggiore di 3 cm.
Anche per le malattie oligometastatiche del fegato da carcinoma colon rettale,
le dimensioni si confermano come il principale fattore prognostico.
La prima segnalazione di una termoablazione del polmone si ha negli anni
Duemila (la slide mostra uno studio apparso nel 2003 su “La Radiologia
Medica”). Per quanto concerne il tumore primitivo (NSCLC, “Non-Small Cell
Lung Cancer”), va considerato il raffronto con la radioterapia sterottica (SBRT,
“Stereotactic Body Radiation Therapy”). «La radicalità locale dipende dalla
capacità di non lasciare margini troppo ampi intorno all’ablazione». Nelle linee
guida americane, c’è uno spazio per il trattamento ablativo imaging guidato,
anche se i numeri dei trattamenti per la radioterapia sono più elevati. Può
rappresentare una risorsa la collaborazione (“combination”) tra differenti
metodiche, «la vera scommessa consiste nella “task force” per decidere
insieme la migliore delle scelte». Ha valore intrinseco la multidisciplinarietà a
prescindere dalle tecniche utilizzate (“multidisciplinary team”).
Per quanto riguarda la terapia ablativa nel rene, mostra un video con un
trattamento su paziente monorene plurioperato e la cicatrizzazione in sede,
«cambia il paradigma nel follow up dell’imaging». Infine, qualche slides è
dedicata alla CRYO con doppio gas (elio, argon) o con azoto, generalmente
sono due i cicli di congelamento e scongelamento.
Rilevante la slide di Slovak (2017, “Immunotherapy of cancer”) presentata dal
prof. Comandone per illustrare la terapia immunologica. Parla di
«interessantissima alleanza» tra la terapia ablativa che distrugge il tumore, le
metastasi e libera antigeni e la capacità dell’oncologo, aggiungendo farmaci
derivati dagli studi di Honjo e Allison, di togliere il freno (“the brakes”)
all’immunità in modo che le cellule rimaste vengano riconosciute e distrutte.