Associazione Amiche e Amici dell’Accademia di Medicina di Torino: “Fake news e disinformazione: come contrastarle”
di Piergiacomo Oderda
L’Associazione Amiche e Amici dell’Accademia di Medicina di Torino ha
organizzato un convegno in presenza e in diretta “on line” sul tema . La Presidente dell’Associazione,
Gabriella Tanturri, è anche una medica vaccinatrice, una dei 150 arruolati
dall’Ordine dei Medici di Torino «per cercare di vaccinare più persone possibile
nel minor tempo per uscire da questa “impasse”», causa di danni psicologici e
psichiatrici. Racconta del putiferio scatenatosi quando era arrivata una grossa
partita di vaccini Astrazeneca nell’hub del Lingotto, «proteste ad alta voce,
gente che si alterava sino al punto di svenire». Su seicento prenotati, sono
stati erogati appena cento vaccini. I media hanno amplificato i casi di
complicanze gravi, il rapporto costi/benefici resta positivo, un’intera nazione si
è vaccinata con Astrazeneca. «Ha giocato un ruolo negativo l’insicurezza delle
direttive mandate dal Ministro sulla base delle parole del CTS». Carla Lavarini
(Scienze Diagnostiche) avvia la riflessione sulla vastità del web e dei suoi
contenuti sempre meno controllabili. Recupera le radici storiche delle “fake
news” negli strali scagliati contro Pericle, colpevole di aver avviato la guerra
contro Sparta. «I detrattori colpirono con false denunce e processi le persone a
lui vicine». Oggi le “fake news” hanno la caratteristica di essere specifiche a
seconda della tipologia dei destinatari, la reiterazione crea una sorta di
martellamento. I Big Data, l’Intelligenza Artificiale rappresenta una nuova
frontiera. La produzione di dati nel 2020 ha superato quella dei trenta secoli
precedenti. L’autorità italiana ha creato una “task force” sulla disinformazione
“on line”. La pandemia ha creato un profluvio di dati numerici, accanto a
virologi e infettivologi intervengono matematici, fisici.
Il Presidente dell’Accademia di Medicina, Giancarlo Isaia, modera la tavola
rotonda. Sottolinea la pericolosità delle “fake news” applicate alla scienza
medica. Nascono «da una scarsa cultura del metodo scientifico». Già Galileo
Galilei parlava di raccolta di dati in modo rigoroso, riproducibile, «associare le
sensate esperienze alla dimostrazione necessaria». Chiede il motivo per cui
siano nate “fake news” sui vaccini a Piero Bianucci, giornalista scientifico.
Questi cita l’esperienza di Allea (All European Academies), ente europeo che
raduna rappresentanti di associazioni scientifiche per tenere sotto controllo le
“fake news” relative al Covid. Il 75% delle “bufale” vengono generate dai
“social media” e circolano sei volte più rapidamente delle notizie vere, quasi
fossero «un virus verbale, informativo». Un esempio è la supposta pericolosità
del 5G. Recupera da Bruno De Finetti la teoria della probabilità per ribadire
come il fatto che non si sapesse niente sul Covid ha consentito l’attecchimento
di un’enorme quantità di cattiva informazione. Il prof. Isaia chiede ad Alberto
Gaino, giornalista divulgativo, un parere su come i “social” abbiano cambiato
radicalmente l’informazione. Risale alla Silicon Valley, al progetto di algoritmi
per affinare strumenti d’indagine. Cita “La valle oscura” di Anna Wiener
(Adelphi, 2020). Più tempo dedichiamo alla ricerca in rete, meglio gli algoritmi
ricostruiscono i nostri interessi e orientamenti per inviarci messaggi pubblicitari
mirati. L’obiettivo dichiarato da un ex amministratore delegato di Google era
“prevedere ciò che penseremo e scriveremo”. A Lorenzo Comba, giovane
medico, specializzando in ematologia, Giancarlo Isaia pone la questione della
responsabilità del medico nel contrastare le “fake news”. Il dott. Comba si
addentra nei meccanismi dei “social”, le persone che guardano foto di gatti, di
sport estremi «ne godono senza giudizio critico». Sopra i 65 anni si cade
vittima di “fake news” sette volte di più rispetto ai giovani con meno di 20
anni. Per un pubblico giovane, inesperto quanto all’interfacciarsi con le
istituzioni, lo Stato potrebbe avvalersi di un “influencer”. Si contrastano le
“fake news” in un atteggiamento aperto agli altri, solo nel dialogo si mutano le
opinioni di qualcuno. Il prof. Isaia ricorda, a proposito di “fake news”, la
reazione di un membro dell’allora CTS al documento pubblicato dall’Accademia
di Medicina nel marzo 2020 sul ruolo della vitamina D nella cura e prevenzione
del Covid: “com’è noto la vitamina D fa male al rene”, dato sconfessato dalla
letteratura medica per quanto concerne il colecalciferolo. Davide De Angelis,
bioeticista, interviene per chiarire come il ruolo del medico e dell’infermiere si
inseriscano «nella polarità tra la conoscenza scientifica e le persone».
L’imperizia determina una delle fattispecie imputabili come condotta colposa:
non approfondire un argomento, non ricorrere all’esperienza di persone più
preparate. Richiama il principio cartesiano “dubium sapientiae initium” quanto
al metodo scientifico, «lo scienziato dovrebbe avere una tensione morale verso
la ricerca scientifica anche a rischio di essere impopolare». Si torna a Bianucci
per dei consigli su una corretta informazione. «Articoli, scritti che hanno a che
vedere con la salute vengono letti in chiave personale», ognuno legge la sua
diagnosi. Siamo “Nati per credere” (Vallortigara, Pievani, Girotto, 2008),
«nell’evoluzione il fatto di concedere fiducia è stato un aspetto utile,
vantaggioso». Il lettore va considerato un fine e non un mezzo (Kant), non è
una persona da influenzare. Nutre dubbi sull’affidare un ruolo istituzionale ad
un “influencer” che «ricorre alla persuasione anziché al ragionamento». Ad
Alberto Gaino, il moderatore pone il problema del confine tra libertà di stampa
e manipolazione delle opinioni. Nel primo periodo di Tangentopoli (1992), il
giornalista ha ricevuto duecento querele, spesso provenienti da un unico ufficio
legale. Cita Enzo Biagi, “i veri editori dovrebbero essere i lettori”. Quando
nasce una notizia in cronaca giudiziaria, per esempio in occasione di un
arresto, bisogna cercare i motivi; quando si sono riscontrati gli elementi,
l’argomento risulta già accantonato, «non c’è un’informazione di lungo periodo
che consenta di approfondire». L’infodemia è un’eccessiva circolazione di
informazioni, capita anche ai giornalisti tradizionali di copiare dai “social
network”. Richiama le “fake news” all’ordine del giorno al tempo del fascismo.
Si oscurava la cronaca nera per provare di aver sconfitto la delinquenza. Si
cercò in modo spasmodico il mostro a cui attribuire la scomparsa a Roma di
alcuni bambini per poi rilasciarlo senza alcuna riga di commento sui giornali. La
vicenda è stata ripresa da un film di Damiano Damiani (“Girolimoni, il mostro
di Roma”, 1972). Gaino mette a confronto la tribuna politica di un tempo dove
«la sovrapposizione di voci non era la regola» ed i “talk show” di oggi dove
vince chi parla più forte, chi interrompe, spesso fomentando l’odio sociale.
Ricorda i fatti di Cogne (2002), l’assassinio di un bimbo di tre anni, divenuti
un’ossessione per milioni di persone, un’isteria collettiva.
Il prof. Isaia invita ad un messaggio conclusivo. Lorenzo Comba accenna al
senso critico. De Angelis sottolinea la responsabilità di chi trasmette notizie ed
accenna al bisogno di narrazione, «le persone hanno bisogno di sentirsi dire
qualcosa». Bianucci conferma che «l’uomo è un animale narratore». Riflette sul
fatto che molti articoli sono scritti da algoritmi (per esempio, commenti sulla
Borsa). Su “Nature” si è analizzato recentemente un articolo scritto dal
computer in cui si intendeva convincere il lettore sulla non pericolosità
dell’Intelligenza Artificiale. Cita alcuni testi, “La pandemia dei dati” (Mira-
Massarenti, Mondadori, 2020), “Disinformazione scientifica e democrazia”
(Dorato, Cortina, 2019), “L’era della disinformazione” (O’ Connor-Weatherall,
Franco Angeli, 2019), “Nel paese della pseudoscienza” (Corbellini, Feltrinelli,
2019). Anche Gaino riprende l’idea del «ritorno ad un certo tipo di cronaca
come narrazione», così come negli anni Cinquanta «ci si aspettava dalla
cronaca un bisogno di credere in qualcosa di diverso». Negli Stati Uniti, la
maggior parte non legge i giornali e ci si affida all’opinione dell’”anchorman”
televisivo.
Le conclusioni sono a cura della dott.ssa Tanturri, «i due aspetti della
comunicazione giornalistica e sanitaria sono complementari». Il colloquio tra
l’operatore sanitario e la persona è parte integrante del processo di cura, «va
improntato sul rispetto dell’interlocutore». La nostra interazione con l’utente è
un momento fondamentale per combattere le “fake news” e trasmettere le
informazioni corrette alla persona che ci sta di fronte.
NELLA FOTO
a sinistra a destra Isaia, Bianucci, Gaino