AGROALIMENTARE, L’INDUSTRIA DEL POMODORO: “SUBITO METODI SCIENTIFICI PER CERTIFICARE L’AUTENTICO MADE IN ITALY”

Esistono metodi attendibili al 100% per certificare l’autentica passata di pomodoro made in Italy, ma ad oggi non vengono applicati. A fare un appello agli organi competenti è Gian Mario Bosoni, amministratore delegato di Emiliana Conserve Spa, la più grande azienda privata del nord Italia nella produzione di derivati di pomodoro conto terzi. Che propone anche un utile vademecum con cui i consumatori possono riconoscere una passata di qualità.

 

 

 

 

 

 

 

 “La filiera del pomodoro italiano potrà continuare a esistere in modo sostenibile solo se punta tutto sulla qualità. Qualità sia in termini di salubrità delle pratiche applicate in agricoltura, sia in termini di uso etico e responsabile dei semilavorati di pomodoro per l’ottenimento di prodotti finiti”. Parola di Gian Mario Bosoni, amministratore delegato di Emiliana Conserve, la più grande azienda privata del nord Italia nella produzione di derivati di pomodoro conto terzi, con un fatturato dell’esercizio 2020-2021 di circa 100 milioni di euro e circa 250.000 tonnellate annue di pomodoro fresco trasformato.

L’utilizzo di semilavorati a basso costo innesca infatti una sorta di circolo vizioso perché riduce i prezzi di vendita dei prodotti finiti alla grande distribuzione e, così facendo, obbliga anche i competitor – compresi quelli che trasformano pomodoro made in Italy – a erodere i propri margini, o addirittura azzerarli. Da qui la pressione ribassista sui prezzi delle materie prime, con le aziende agricole che faticano a sopravvivere e in certi casi, pur di abbattere i costi, ricorrono a pratiche irregolari nelle prestazioni di manodopera. “In queste condizioni una filiera non può crescere”, sottolinea Bosoni.

Come fare, dunque, per disincentivare l’importazione di semilavorati di bassa qualità e premiare l’autentico made in Italy? “Non c’è nessun bisogno di elaborare nuove norme, basterebbe applicare quelle già in vigore”, spiega Bosoni. Il decreto 16 novembre 2017 su “Indicazione dell’origine in etichetta del pomodoro” impone di specificare in etichetta la zona geografica in cui il pomodoro è stato coltivato e trasformato. Tale disposizione si applica a tutti i derivati del pomodoro e a sughi e salse che sono composti per almeno il 50% da pomodoro.

La normativa insomma è molto chiara, ma scarseggiano gli strumenti di controllo. Questo perché ad oggi le autorità non hanno ancora adottato un metodo analitico ufficiale per verificare che l’origine della materia prima sia davvero quella indicata in etichetta. Su questo tema Bosoni si è speso in prima persona, co-firmando insieme a Giorgio Zubani, presidente di Unionalimentari – Confapi, una lettera rivolta ai vertici dell’Ispettorato Centrale Qualità e Repressione Frodi (ICQRF) istituito all’interno del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. “Esistono diverse tecniche analitiche, sicure e già applicate con successo. Ad oggi, però, a nessuna di esse è stata attribuita valenza di ufficialità”, spiega Bosoni, invitando l’Ispettorato a esprimersi in merito, anche sulla base di un confronto con gli operatori del settore.

Il tema è di grande interesse anche per i consumatori: stando a un’indagine condotta da Nomisma per CIA – Agricoltori Italiani, il 26% dei cittadini esce dall’esperienza della pandemia con una maggiore attenzione verso il made in Italy. Nell’attesa che entrino in vigore gli auspicati metodi di controllo, Gian Mario Bosoni offre cinque indicazioni – semplici ma preziose – per chiunque voglia assicurarsi di mettere nel carrello una passata di qualità:

  • Cercare in etichetta la dicitura “pomodoro coltivato in Italia” o, meglio ancora, il marchio QC della Regione Emilia Romagna.
  • Diffidare dai prezzi eccezionalmente bassi.
  • “Non è vero che il biologico è sostenibile per definizione e il convenzionale non lo è”, spiega Bosoni. “È buona norma informarsi sia sulla catena di supermercati sia sul produttore, sempre indicato con una sigla. Anche senza avere particolari competenze tecniche, un’occhiata al sito internet è più che sufficiente per farsi un’idea di come lavora l’azienda”.
  • “I prodotti più a rischio frode sono i concentrati (per esempio i tubetti) e le passate, specie quelle confezionate in confezioni che non lasciano vedere il contenuto, che possono essere ottenute diluendo il concentrato con acqua”, svela Bosoni.
  • L’AD di Emiliana Conserve invita anche, quando le passate sono confezionate in vetro, a controllare il fondo della bottiglia. Eventuali depositi biancastri si formano quando la confezione non è stata riempita direttamente dal pomodoro fresco o utilizzando passata tal quale stoccata provvisoriamente in contenitori industriali, ma attraverso un processo di rilavorazione di una passata con un grado di concentrazione più denso (la legge italiana consente un massimo di 12 gradi brix), diluito con aggiunta di acqua. Questo procedimento, che risulta comunque legale – a condizione che il grado brix del semilavorato oggetto di diluizione non superi i 12 gradi brix – rende più probabile che siano stati impiegati semilavorati di importazione.

“L’esercizio dell’attività agricola è sempre stato il filo conduttore della mia attività professionale e imprenditoriale; nello specifico, mi occupo del pomodoro da industria dal lontano 1993. Ho assistito con i miei occhi a una profonda presa di consapevolezza da parte del consumatore, che oggi vuole conoscere la storia di ciò che porta nel piatto. È per questo che rivolgo un appello alle agenzie competenti: servono più controlli, più verifiche, più garanzie. A tutela della cittadinanza e anche delle industrie serie e oneste”, conclude Bosoni.

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