Intervistando Marta Lock
Marta, presentati alle nostre lettrici con pregi, vizi e virtù. Che tipo di donna pensi di essere?
Sono una donna positiva, ottimista, spontanea, una di quelle che credono che la vita sia bellissima anche quando le cose non sembrano andare come le avevano immaginate; sono molto forte e determinata ma al tempo stesso delicata e sensibile, fragile alcune volte. Sono un’idealista che crede nell’amore con la A maiuscola e aspetta ancora l’anima gemella perché so che – come nel caso della scrittura che mi si è manifestata tardi, al termine di un percorso di vita che doveva condurmi alla capacità di esprimere tutto ciò che avevo accumulato nel corso degli anni – arriverà.
Le cose giungono nel momento migliore per noi e probabilmente finora per me non era il momento di essere capace di accogliere l’amore vero, forse dovevo prima fare altre cose. Sono sognatrice ma anche realista, perfettamente a suo agio nella quotidianità, sensazione questa che fuoriesce chiaramente anche dai miei aforismi di forte impatto emotivo ma mai melensi, sempre molto veri, questo è ciò che dicono i miei tanti lettori. Ho raggiunto un equilibrio con me stessa che non si destabilizzerà più, come invece è successo in passato, perché ora so chi sono e cos
a non voglio, perché nel corso del tempo ho scelto me, ho capito che solo facendo questo importante passo avrei potuto aprire la porta a chi ha davvero voglia di starmi accanto e camminare mano nella mano con me. Sono molto empatica e tendo a vedere il lato migliore delle persone, desidero sempre capire l’altro con le sue motivazioni non come opposte a me bensì semplicemente come sua forma espressiva, o di difesa o, a volte, di autoconservazione. In alcune fasi della vita queste caratteristiche hanno costituito i miei più grandi difetti e debolezze ma oggi, grazie all’equilibrio raggiunto nel mio lungo percorso introspettivo, sono riuscita a trasformarle in punti di forza così come ho tramutato le cadute in passi in avanti, dopo essermi rialzata più velocemente che potevo.
Come le vedi le donne di oggi? Credi che spesso tendano a perdere la loro femminilità?
La donna contemporanea mi sembra confusa perché da un lato ha acquisito forza e consapevolezza delle proprie capacità mentre dall’altro si deve scontrare con un universo maschile che è stato messo in crisi proprio da questa trasformazione quasi in contrasto con il retaggio culturale del nostro paese. Mi sembra che le donne abbiano questo impulso a dimostrare di valere a discapito spesso della loro emotività anzi, semmai tendono in alcuni casi a spingerla verso la competizione, come a voler dimostrare a se stesse e agli altri di poter fare tutto, di valere anche di più dell’uomo, soprattutto in campo lavorativo. Non hanno forse ancora raggiunto un bilanciamento tra i due ruoli, quello professionale e quello privato, e non riescono a distaccarsi dal ruolo di donna in carriera per ricordarsi di essere anche femmine appunto, lasciando nel privato all’uomo il ruolo di maschio. Ma in linea di massima non amo generalizzare perché ogni individuo è talmente unico e assolutamente diverso dall’altro che un’idea, un concetto applicabile al singolo, non può valere per tutti. Ho conosciuto donne straordinarie che riescono a essere estremamente femminili e al tempo stesso dirigenti di azienda o professioniste apprezzate e stimate, altre che nel seguire due progetti contemporaneamente vanno nel panico e altre ancora che hanno un estremo bisogno di sentirsi protette e incoraggiate continuamente dal partner, dagli amici, dalla famiglia eppure non per questo meno forti di altre quando è necessario tirare fuori la grinta.
A proposito, che cosa significa essere femmine, secondo te?
Io credo che la donna debba avere classe, eleganza, raffinatezza, deve saper lasciare all’uomo il suo ruolo, credo nella galanteria e nei gesti romantici perché quando lo si lascia fare, a lui stesso credo che piaccia far sentire la donna una principessa. Cedere il passo, aprire la porta, alzarsi per farla sedere, sono tutti gesti dal sapore antico ma che denotano un’alta forma di rispetto verso l’essere femminile e che potrebbe essere un primo passo educativo per invertire la tendenza ormai tristemente nota a trattarla come un oggetto, un qualcosa di proprietà esclusiva per cui poter decidere la vita o la morte, picchiarla e umiliarla psicologicamente. Poi, abbandonando una tematica delicata che avrebbe bisogno di molto più spazio per essere affrontata, essere femmine significa non essere provocanti, succinte, sessualmente sfacciate perché la vera sensualità non ha bisogno di essere ostentata, c’è ed è percepibile, anzi è molto più intrigante quando è tutta da scoprire anziché quando viene liberamente sbandierata ai quattro venti.
Quanto e che cosa c’è di femminile nei tuoi libri?
Di femminile c’è la passione, l’emotività, la capacità empatica di scavare per comprendere i risvolti più interiori, quelli che escono fuori solo dopo una lunga riflessione sui perché degli altri, c’è il bisogno di fuggire per ritrovare se stesse di qualcuna delle mie protagoniste le quali, al tempo stesso, in quella fuga trovano il desiderio di essere inseguite. C’è il bisogno di sentirsi amate ma anche e soprattutto quello di amare, nessuna di loro si accontenta, se non per un breve periodo, di un qualcosa di tiepido a scapito di un’emozione travolgente. C’è la forza di rinascere, di rialzarsi, di combattere per se stesse o per ciò in cui credono, opporsi a un destino che a volte sembra volerle portare verso il basso ma che poi vedono come un importante momento di crescita da cui trovano la direzione migliore per tornare in alto. C’è il valore dell’amicizia, dei legami familiari, del continuare comunque, sempre, a credere che dietro l’angolo ci sia qualcosa di bello, quella positività che contraddistingue me e che non potevo non mettere all’interno delle mie opere, quel sapore tutto femminile del sorridere alla vita anche in momenti in cui lei sembra non volerlo fare.
Ogni donna ha anche la sua parte maschile, e di essa dove possiamo trovarne traccia in te e nei tuoi lavori?
Il mio modo di pensare e di comportarmi è molto vicino all’atteggiamento maschile, nel senso che non amo i pettegolezzi anzi, li rifuggo alla velocità della luce se per puro caso mi ci trovo ad avere a che fare, non amo parlare al telefono perché dopo un po’ perdo l’attenzione iniziando a pensare ad altro – non sono una di quelle donne che riescono a fare più cose contemporaneamente, io posso farne solo una per volta altrimenti mi deconcentro -, non ho affatto il senso di rivalità che si innesca a volte tra donne, non conosco l’invidia anche perché parto dal presupposto che ognuno abbia in sé il potere per raggiungere i risultati che desidera e star lì a guardare cos’hanno gli altri in più di noi è solo una perdita di tempo e di energie da convogliare nel tentare di raggiungere i propri obiettivi. Non amo lo scontro e gli atteggiamenti aggressivi, mi fanno sentire violentata nella mia tranquillità, si può parlare di tutto senza dover per forza essere polemici, prepotenti e voler prevaricare l’opinione degli altri. Nei miei romanzi ho dato vita a personaggi maschili di grande spessore e intensità psicologica, al punto che alcuni lettori mi hanno confessato di non rendersi conto che fossero stati descritti da una donna. Luke e Paul di Notte Tunisina, due lati opposti della stessa medaglia; Joshua di Quell’anno a Cuba, silenzioso osservatore come solo un uomo sa essere ma che nell’ombra comprende ciò che neanche la stessa protagonista conosce di sé; il nonno Bruno di Ritrovarsi a Parigi, guida spirituale e psicologica per una nipote che aveva bisogno di trovare se stessa, e poi Yannik prepotente e arrogante per nascondere un passato di sofferenza; l’omosessuale Sam di Miami Diaries, diviso tra razionalità ed emotività, in bilico dentro se stesso ma bilancia tra i caratteri opposti delle due amiche, e poi Victor, personaggio apparentemente secondario ma di grande spessore e forza, macchiavellico quasi nell’accettare tutto per conquistare il cuore di Hanna senza che questo lo faccia sentire debole o sottomesso; Hilario e Ramon de La sabbia del Messico, apparentemente diversi ma uguali nel loro egoismo e nel mettere se stessi davanti a tutto, ognuno con i propri meccanismi difensivi e l’incapacità di confessare le proprie debolezze che poi li portano all’errore; e infine Damian e Cooper di Dimenticando Santorini, entrambi capaci di accogliere un sentimento forte nella propria vita senza difendersi, senza scapparne, combattendo per lui e, allo stesso tempo, aspettando con pazienza l’evolversi delle cose.
Un commento su ogni tuo singolo libro?
Notte Tunisina (che al momento non è disponibile perché in fase di riedizione): il fitto mistero nella magica terra tunisina accrescerà la capacità della protagonista di vivere accettando e comprendendo tutto ciò che succede. Quell’anno a Cuba: la determinazione e la forza di una donna che sceglie di inseguire il proprio sogno e la scoperta di un luogo che le ruberà per sempre il cuore. Ritrovarsi a Parigi: un romanzo che insegna ad ascoltare, a riflettere, a comprendere, a perdonare e a capire che tutto nella vita presente ha un senso, un motivo di essere che spesso viene proprio dal passato. E’ una storia d’amore che insegna ad amare. Miami Diaries: tre amici, un destino, la scoperta dei valori più importanti e la capacità di uscire insieme dalle difficoltà, di rialzarsi dopo una caduta e di capire che la ricchezza interiore è infinitamente più appagante di quella materiale. La sabbia del Messico: un grande dolore da superare, un luogo magico che segnerà la guarigione dell’anima della protagonista e la rinascita a una vita tutta da riscrivere. Ricomincia da te, il mio saggio: un percorso importante per il lettore, per aiutarlo a superare i blocchi emotivi e iniziare a vivere una vita più piena accogliendo le proprie emozioni, senza averne paura.
Giusto. Entro i primi di marzo uscirà il mio sesto romanzo, Dimenticando Santorini, un libro che parla di distacchi, di destini indissolubilmente legati anche se apparentemente distanti, di conflitti familiari, tra padre e figlia, tra sorelle, di rinunce a sogni che poi però generano il rimpianto di non aver combattuto per essi, di scelte compiute per seguire una volontà esterna alla propria che poi si rivelano sbagliate non tanto per ciò che hanno generato quanto perché non erano quelle che si sarebbero prese se non si fosse subita quella forte influenza esterna. La storia inizia a Santorini, la meravigliosa isola greca che rimane per sempre nel cuore di Jade così come il sentimento puro e forte per Damian, nonostante la sorte decida di separarli, ed è nell’indimenticabile isola che il destino sviluppa le sue trame in un crescendo di avvicinamenti e nuove separazioni che permeano l’intero romanzo. Il lancio nazionale avrà luogo il 15 di marzo alla Palazzina Liberty di Milano con il patrocinio della Comunità Ellenica, la cui presidentessa Sofia Zafiropoulou ha subito accolto, con l’entusiasmo travolgente che la contraddistingue, la notizia della prossima uscita di Dimenticando Santorini presentandolo al consiglio direttivo per far rientrare l’evento nella programmazione culturale dell’associazione. Inoltre ho avuto anche l’onore di avere la prefazione di Massimo Pedroni, autore radiotelevisivo, scrittore ed ex consigliere del Teatro Argentino di Roma, che ha sottolineato le forti connotazioni destiniche vicine alla filosofia greca all’interno della trama e che fuoriescono dalle vicende dei protagonisti, e la copertina della bravissima pittrice Katia Malizia. Il libro sarà disponibile da marzo ma già prenotabile all’indirizzo email della casa editrice info@talosedizioni.it.